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Prologo

Erano gli anni che precedevano la seconda guerra mondiale, i ragazzi ed i giovani calciavano il pallone su improvvisati campi da gioco in mezzo ai prati, che allora erano tanti, oppure in mezzo alle strade (frequentate solo da carri agricoli e rare biciclette), le porte erano simulate riponendo a terra alcuni sassi ed eventualmente qualche indumento ammucchiato sopra di essi. Gli incontro sui rari, veri (si fa per dire) campi da calcio erano per lo più organizzati dai cosiddetti “liberi” (chissà perché venivano così chiamati) che frequentavano i dopolavoro aziendali.

  

  A Villa Cortese il circolo ricreativo dopolavoro sorgeva in Via Speroni nel cortile quasi dirimpetto alla vecchia entrata delle Scuole Elementari, ove oggi è situato il bar Rabbolini”.Coloro che partecipavano alle partite costituivano solamente “l’elite” del paese; il medico, il farmacista, l’insegnante, il conosciuto caporeparto di una azienda, il proprietario di un bar, il rappresentante politico…Il campo sportivo Comunale era collocato sul lato destro della strada che porta a Dairago all’altezza dell’attuale società Imeas.
E’ dato storico che solo nel 1934, con Don Enrico Basilico e l’assistente oratoriano Don Carlo Boggi, furono messe a disposizione dei giovani oratoriani le prime vere porte per il gioco del calcio; i pali, come molti ancora ricordano perché tali rimasero fino agli inizi degli anni sessanta, erano di legno, dipinti di bianco con la calce e a sezione quadra, non tonda come quelli attuali. Il campo occupava parte del cortile di fronte all’ala sud dell’oratorio e confinava a nord con un muro di cinta ove oggi sono gli alberi di noce e le reti metalliche che delimitano il campo da gioco odierno, le sue dimensioni erano tali da poter permettere solo regolari partite a sei giocatori.

Don Carlo, nel periodo di poco precedente il secondo conflitto mondiale, organizzò tornei interoratoriani, in realtà la società sportiva e calcistica oratoriana non era ancora sorta; i giovani che rappresentavano l’oratorio nelle gare organizzate indossavano maglie delle allora più blasonate squadre di serie A (Juventus, Torino, Inter).Le scarpe da calciatore con i tacchetti in cuoio (i birò) che venivano chiodati alle suole erano conservate, da chi naturalmente poteva permettersi il lusso di acquistarle, ed accudite con estrema attenzione.Negli ormai storici scontri che già in quel tempo (ma anche prima) si combattevano tra il gruppo degli ammogliati (“i barbuni”) e quello degli scapoli (“i barabiti”), molti non disdegnavano di indossare invece le robuste scarpe ricordo del trascorso servizio di leva.I palloni di cuoio erano un lusso e spesso si utilizzavano quelli costruiti… in proprio!”Si racconta che il parroco Don Enrico favorisse, durante il periodo bellico, sotto il porticato del proprio cortile (ci riferiamo al caseggiato a lato dell’attuale Chiesa parrocchiale sito in Via Cantù) la macellazione di animali che i contadini non desideravano portare al macello pubblico.Così il cuoio, in verità la pelle degli asini macellati, poteva essere utilizzata nella fabbricazione dei palloni, che possedevano però l’inconveniente di essere talmente leggeri che un calcio ben assestato li faceva letteralmente “volare” disegnando ghirigori nell’aria prima di toccar terra, quindi: “ul balun a sgurea ca l’era un piasé”, (il pallone svolazzava che era un piacere”.

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